top of page

'the most extraordinary voice I’ve ever heard in my life'  -  Lou Reed

'This man is all about feeling. He defined what 'soul' is all about in singing long before anyone was using that word!' - Ray Charles
'the most unjustly ignored American singer of the 20th century' - The New York Times

Il 27 gennaio segna l'uscita di I Go Back Home, l'attesissimo album postumo dell'indimenticabile Jimmy Scott, disponibile su CD, vinile e in digitale. Questo progetto si configura come il testamento artistico della leggenda del jazz, un'ultima fatica di un talento gigantesco dalla voce inimitabile.

L'album vanta collaborazioni di spicco: duetti con il Premio Oscar Joe Pesci, Dee Dee Bridgewater, Renee Olstead e Monica Mancini. La line-up è impreziosita dalla presenza di illustri jazzisti come Joey DeFrancesco, James Moody, Kenny Barron e Peter Erskine dei Weather Report.

I Go Back Home è stato registrato nel 2009 tra i Westlake Studio di Los Angeles e gli Odds On di Las Vegas, con la produzione di Ralf Kemper e un ensemble incredibile sotto la guida in cabina di regia del leggendario Phil Ramone (noto per i suoi lavori con Billy Joel, Paul Simon, Chicago).

Ogni brano è un'esperienza emotiva incredibile: dal duetto The Nearness of You con lo strepitoso Joe Pesci, alla rivisitazione potente e struggente di Everybody Is Somebody's Fool – il suo primo successo – cinquant'anni dopo la prima registrazione, con la partecipazione di James Moody. L'interplay incantevole dell'organista e trombettista Joey DeFrancesco si rivela in (Sometimes I Feel Like a) Motherless Child, mentre lo swing inconfondibile di Peter Erskine pervade tutte le tracce del disco.

Kenny Barron, pianista storico partner di Stan Getz, regala un solo profondo su How Deep is the Ocean, una delle tracce dell'album culto Falling In Love Is Wonderful, interpretata sulla chitarra gioiosa di Oscar Castro Neves e accennando a una direzione musicale che Scott ha lasciato volutamente inesplorata. L'icona jazz Dee Dee Bridgewater si presta per un puro accompagnamento su For Once In My Life di Stevie Wonder, mentre le giovani Renee Olstead e Monica Mancini sorprendono nei loro duetti: la prima nel gershwiniano Someone Watch Over Me, la seconda supportata da Arturo Sandoval al flicorno in I Remember You.

A impreziosire ulteriormente l'ensemble, troviamo il trombettista Till Brönner, il più famoso musicista jazz tedesco della sua generazione, e l'armonicista svizzero Gregoire Maret, già al fianco di Cassandra Wilson, Kurt Elling e Jacky Terrasson.

Questo album concede a Scott tutto ciò che ha sempre desiderato: un progetto prodotto assecondando esclusivamente le sue volontà, con pieno controllo sulla selezione delle tracce, sui musicisti e sugli arrangiamenti. Un lavoro che gli ha permesso di raccontare la sua storia attraverso la musica e di vivere appieno il mondo espresso da ogni canzone.

Come spiegava Jimmy stesso: "I testi sono sempre importanti per me. Capisco subito se sto cantando semplicemente una canzone o raccontando la storia in una canzone che dovrebbe significare qualcosa. Ecco proteggo ciò che ho in essa, perché è lì che credo che dovrebbe andare. Dovrebbe significare qualcosa. Dovrebbe avere un senso."

Dave Nathan di All Music dichiarò che il fraseggio di Scott si muove "al di là della mera intensità e nei paraggi della venerazione". Questo è più vero che mai su I Go Back Home, dove Scott intona una chiacchierata nell'opening (Sometimes I Feel Like a) Motherless Child – una delle interpretazioni più acclamate del cantante di Cleveland – o nella vivace bossa nova di I Remember You fino all'impegnativa If I Ever Lost You.

 

Jimmy era convinto che: "Molti arrivano in questo business non sapendo cosa fare o come creare un progetto. Non si rendono conto che stanno raccontando una storia. Io dico: 'Hai studiato quella storia?' Ogni musicista deve proiettare sulla canzone un senso di un significato. C'è un sacco di musica che ti fa pensare e rappresenta un pensiero, ma non tutti i musicisti sono predisposti a farla."

I Go Back Home non è solo un disco corale e di grande amicizia, un lavoro organico con un sound incredibile che testimonia la sua capacità di uscire di scena al top del suo livello. Rappresenta anche la smisurata passione e amicizia di Ralf Kemper, produttore anche dell'omonimo film.

Il film, diretto dal coreano Yoon-ha Chang, narra le vicende familiari, le sfide e i sacrifici di un artista incompreso, intervallando le sessioni del disco con le giornate trascorse con Scott fuori dagli studi di registrazione. Arricchito da testimonianze di figure iconiche come il biografo ufficiale David Ritz (critico musicale dell'edizione americana di Rolling Stone), Quincy Jones (leggendario produttore e suo amico dai tempi dell'orchestra di Lionel Hampton), Madeleine Peyroux, Tommy Li Puma e altri artisti coinvolti nel disco.

I Go Back Home sarà proiettato in anteprima nazionale il 4 febbraio a Roma alla Casa del Cinema, l'uscita del film in DVD è prevista invece per la fine del 2017.

Jimmy Scott: La Voce Eterna e il Trionfo di una Vita Straordinaria:

Nato nel 1925 a Cleveland, Ohio, Jimmy Scott è stato un'icona del jazz, la cui vita e carriera sono state tanto tormentate quanto trionfanti. Orfano di madre a soli tredici anni, Scott trovò conforto e ragione di vita nella musica fin dalla giovane età, esibendosi nei club della sua città. Nel 1948, la sua voce unica lo portò nella band di Lionel Hampton, che gli affibbiò l'affettuoso soprannome di "Little Jimmy Scott".

Nonostante fosse adorato da giganti come Billie Holiday, Charlie Parker, Dinah Washington e Nancy Wilson, e avesse già all'attivo successi R&B come Everybody Is Somebody's Fool, la prima parte della sua carriera non gli valse la popolarità che meritava. Album come Falling in Love Is Wonderful (1962), pubblicato sulla label privata di Ray Charles – che lo definì "il Sacro Graal degli album vocal jazz" – e The Source (1969) su Atlantic, divennero veri e propri dischi "culto".

Oppresso dalle sfide dell'industria musicale e dalla Sindrome di Kallmann, una rara condizione che bloccava la sua crescita ormonale, mantenendo invariata la sua voce da adolescente e un'immagine efebica, Scott si ritirò nell'anonimato. Visse un lungo e triste periodo, dedicandosi a lavori umili e faticosi, lontano dal mondo che lo aveva visto nascere artisticamente.

jimmy_orange.tif

La svolta inattesa arrivò in tarda maturità, a seguito di un evento funesto. Nel 1991, al funerale del suo amico Doc Pomus, autore di grandi classici americani, Scott intonò Someone’s to watch over me, lasciando senza parole il gotha del music business presente. Tra loro, Seymour Stein della Sire, che gli offrì un contratto per tre album. Il primo, All The Way, ottenne subito una nomination ai Grammy Award, segnando l'inizio di una straordinaria rinascita. All'età di 67 anni, Jimmy Scott riabbracciò la vita artistica.

 

Lou Reed lo volle nell'album Magic and Loss e in tour con lui, David Lynch lo ingaggiò per un episodio di Twin Peaks, e la sua voce divenne parte delle colonne sonore di film importanti come Philadelphia di Jonathan Demme e molti altri. La sua "nuova vita" fu un susseguirsi di dischi acclamati, tour in Giappone e in Europa, un quinto matrimonio e numerose onorificenze: dalla performance per l'inaugurazione della Presidenza Clinton nel '93, al prestigioso Living Jazz Legend Award del Kennedy Center di Washington nel 2003, fino all'introduzione nella R&B Hall of Fame nel 2013.

Jimmy Scott si è spento il 12 giugno 2014, a 89 anni, nella sua casa di Las Vegas, a causa di un infarto. In quasi settant'anni di carriera, ha condiviso il palco e collaborato con un'impressionante lista di leggende, tra cui Charlie Parker, Lou Reed, Charles Mingus, Antony & the Johnsons, Sarah Vaughan, David Byrne, Quincy Jones, Ray Charles e Wynton Marsalis.

 

La sua voce, unica e indomita, continua a ispirare e commuovere, rimanendo un faro nel panorama della musica jazz e oltre.

bottom of page